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Indici della Rassegna

Titolo
SOCIETÀ MISTE E PARTECIPAZIONE A GARE DI APPALTO INDETTE DA ALTRE AMMINISTRAZIONI
Argomento
Appalti
Abstract
Riferimenti Giurisprudenziali: - Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 25 agosto 2008 n. 4080 - Autorità vigilanza sui contratti Pubblici di lavori e servizi, parere 31 luglio 2008 n. 213
Testo
Si richiamano i recenti interventi dei giudici comunitari e del giudice amministrativo Italiano (Cons. Stato, ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1; sez. II, 18 aprile 2007, n. 456/07) in merito alla analisi dei presupposti per l’esistenza effettiva del requisito del «controllo analogo» al fine di evidenziare e stabilire la differenza tra il modello della “gestione in house” rispetto a quello della “società mista”. Risulta evidente che il primo è ammissibile solamente a condizione di una partecipazione pubblica totalitaria, il secondo presuppone invece, da sempre e per definizione, l’investimento di capitale privato.
La compatibilità del modello della società mista, ai sensi della disciplina vigente, richiede l’affermazione e riprova di due premesse di fondo e l’accertamento dell’esistenza di altrettanti garanzie.
Le due premesse sono date sia dalla incontestabilità della differenza tra i modelli dell’in house e della società mista e dall’impossibilità di non ammettere che il modello delle società miste sia più orientato verso il mercato di quanto non sia quello dell’in house.
La società mista deve erogare servizi prevalentemente in favore del soggetto pubblico che l’ha costituita e la gara per la scelta del socio consente la definizione del servizio operativo ad esso demandato eliminando ogni possibilità di società miste «aperte»; deve essere, quindi, previsto un termine di scadenza al fine di impedire che il privato diventi socio stabile della società mista.
Ciò consente di poter escludere la necessità di indire una gara per l’affidamento del servizio venendo, altrimenti, l’amministrazione ad assumere la duplice veste di stazione appaltante e di socio di una delle società concorrenti, in palese conflitto di interessi.
Se precedentemente la società mista non aveva carattere ordinario, costituendo un’eccezione alla regola dell’integrale ricorso al mercato da parte dell’amministrazione, l’art. 13 d.l. n. 223 del 2006 impone un vero e proprio vincolo di esclusività con la previsione di divieto di svolgere prestazioni a favore di soggetti diversi dagli enti costituenti ed affidanti.
La giurisprudenza in carenza di specifica disposizione normativa, (sia pure con le dovute cautele al fine di non snaturare il ruolo istituzionale delle società miste), ha riconosciuto la possibilità, per le società miste costituite da enti locali, di svolgere attività imprenditoriali c.d. extraterritoriali, assumendo il ruolo di esecutori di appalti pubblici indetti da altre stazioni appaltanti pubbliche (diverse dagli enti locali che hanno dato vita alle società miste).
Le società così costituite erano da ritenersi strumentali al perseguimento degli interessi collettivi non potendosi escludere la possibilità di svolgimento di attività c.d. extraterritoriali verificando, però, che dette attività contribuissero al miglior perseguimento dell’interesse della collettività locale, e non si traducessero in un aumento di costi al fine di non incorrere nella violazione dei principî di efficienza e di equa misura di tasse e tariffe.
La società mista deve operare, una volta immessa sul mercato, in piena concorrenza e parità con gli imprenditori privati, senza vantare posizioni di privilegio derivante dalla possibilità di accedere a finanziamenti ed aiuti pubblici.
Quindi, prima dell’entrata in vigore del più volte menzionato art. 13, d.l. n. 223 del 2006 le società miste, pur potendo svolgere la propria attività anche al fuori del territorio del comune dal quale sono state costituite erano tenute alla promozione dello sviluppo della comunità locale di emanazione.
Occorre impedire che le dette società non dirigano le energie e le risorse a danno e pregiudizio alla collettività.
L’impegno extraterritoriale non deve distogliere risorse e mezzi, senza apprezzabili ritorni di utilità per la collettività di riferimento.
Partendo da detti presupposti e considerata la necessità di limitare i costi degli apparati pubblici la stessa finanziaria ha vietato la costituzione di società che abbiano ad oggetto la produzione di beni e servizi non strettante necessari al perseguimento delle finalità proprie degli enti locali partecipanti, l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ha censurato la partecipazione di società costituite da enti locali a gare per l’affidamento di servizi non strettamnente correlate al raggiungimento di scopi funzionalmente riconosciuti dalla legge ad essi enti locali
L’imprenditorialità deve essere espressione di libera iniziativa economica “ che può essere anche pubblica, ma che non è tale se sorge per fini istituzionali e si estende poi ad altre attività con correlate e quelle funzionali.
Autore
Avv. M. T. Stringola
Data
domenica 31 agosto 2008
 
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