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Indici della Rassegna

Titolo
VINCOLO ARCHEOLOGICO E DISTRUZIONE DI BENI ARCHEOLOGICI
Argomento
Edilizia e urbanistica
Abstract
Riferimenti Giurisprudenziali: - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 23 dicembre 2008 n. 6513; Riferimenti Normativi: - Artt. 1, 3, 21 e 59 della L. n. 1089 del 1939
Testo
La declaratoria del particolare interesse archeologico di un immobile è basato su un giudizio che attiene alla discrezionalità tecnica della Pubblica Amministrazione ed è sindacabile in sede di legittimità solo per difetto di motivazione o per erroneità o illogicità, ovvero per inattendibilità della valutazione in base allo stato delle conoscenze.
Ai sensi della legge n. 1089 del 1939 (artt. 1 e 3), il vincolo archeologico diretto viene imposto su beni o aree nei quali sono stati ritrovati reperti archeologici, o in relazione ai quali vi è certezza dell’esistenza, della localizzazione e dell’importanza del bene archeologico; il vincolo archeologico indiretto (art. 21 della legge n. 1089 del 1939), invece, viene imposto su beni e aree circostanti a quelli sottoposti a vincolo diretto, per garantirne una migliore visibilità e fruizione collettiva, o migliori condizioni ambientali e di decoro.
Imprescindibile presupposto per l’impostazione del vincolo diretto di cui agli artt. 1 e 3 della L. 1089/39 è la dimostrata, effettiva esistenza delle cose da tutelare; con la conseguenza che il relativo provvedimento si deve considerare illegittimo, per carenza o errore nei presupposti, ove sia stato acclarato che in un’area non irrilevante della zona vincolata in realtà non esiste alcun bene archeologico suscettibile di protezione.
Ciò in quanto la legge in esame, dove consente l’impostazione del vincolo diretto sulle cose di interesse artistico, storico o archeologico, incide, comprimendolo, sul diritto di proprietà; e quindi, al fine di evitarne un’inutile limitazione, è consentito all’amministrazione di adottare il relativo provvedimento soltanto nel presupposto della già acquisita certezza dell’esistenza delle cose oggetto di tutela e previa rigorosa delimitazione della zona da proteggere.
Tuttavia si deve convenire con l’Amministrazione appellante secondo cui le conclusioni del giudice di primo grado, che esclude ogni sanzione per la volontaria distruzione o dispersione di reperti per i quali non sia stato imposto preventivamente ed esplicitamente il vincolo archeologico, appaiono “forieri di inammissibili carenze nella tutela del patrimonio archeologico e legittimano comportamenti non ispirati ad una cautela doverosa negli interventi di scavo in siti per i quali appare probabile, anzi, nel caso di specie, certa, la presenza di materiali di interesse archeologico”.
Poiché il bene archeologico “ritrovato” è un bene “pubblico”, non deve ritenersi necessario alcun provvedimento “costitutivo” per verificare il carattere pregiato del bene e per la conseguente imposizione del regime di protezione, perché tale regime deriva direttamente dalla legge, una volta accertato il particolare valore delle cose ritrovate.
E’ pertanto legittimo il provvedimento con il quale la Sovrintendenza archeologica irroga al proprietario di un terreno non ancora formalmente assoggettato a vincolo archeologico la sanzione amministrativa prevista dall’art. 59 della legge n. 1089 del 1939, per essere stato riconosciuto responsabile della distruzione di stratigrafie archeologiche in occasione di lavori agricoli e di scavo eseguiti.
Autore
Dott. Roberto Bongarzone
Data
mercoledì 31 dicembre 2008
 
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