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Indici della Rassegna

Titolo
MOBBING: PRESUPPOSTI PER IL RISARCIMENTO DEL DANNO
Argomento
Pubblico impiego
Abstract
Riferimenti Giurisprudenziali: - Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 21 aprile 2010 n. 2272
Testo
Con ricorso proposto innanzi al Tar, il ricorrente agiva per il risarcimento dei danni che gli sarebbero derivati da comportamento illecito del Ministero della Difesa, datore di lavoro pubblico.
Il giudice di primo grado rigettava il ricorso, rilevando che valeva il principio della c.d. pregiudiziale amministrativa mentre nella specie nessun atto organizzatorio della pubblica amministrazione era stato mai impugnato; l’inerzia del ricorrente doveva valere almeno ai sensi dell’art. 1227 c.c. (concorso del danneggiato nella causazione del danno per mancato tempestivo esercizio di azione o di iniziative a sua tutela).
In ordine all’asserito mobbing, il primo giudice osservava che dalle argomentazioni e dai fatti prospettati – mansioni non adeguate, condizioni inidonee delle strutture, mancanza di una linea telefonica autonoma, commenti sarcastici o invito a lasciare la stanza – a parte la loro riconducibilità, almeno in parte agli atti organizzatori (con validità del principio della necessità della previa impugnazione, mai avvenuta e comunque con la constatazione che mai uno di essi è stato nelle dovute sedi contestato), in realtà si trattava in buona parte di condotte in sé non offensive né mobbizzanti.
Il primo giudice osservava come il mobbing venga definito in giurisprudenza come una condotta sistematica e protratta nel tempo, che concreta nelle sue caratteristiche vessatorie, una lesione dell’integrità e della personalità morale del lavoratore, in violazione dell’art. 2087 c.c..
Inoltre, in contraddizione con l’illecito lamentato, la carriera del ricorrente era stata costellata di ampie valutazioni positive e in generale gratificanti e determinanti notevoli avanzamenti di carriera.
Avverso la sentenza di rigetto sopra menzionata proponeva appello il lavoratore.
Ritiene la Sezione che l’appello è del tutto infondato per mancata deduzione di fatti illeciti specificamente imputabili all’Amministrazione e comunque al mancato assolvimento dell’onere della prova e alla contestazione degli atti organizzativi e presupposti.
Le situazioni definite e riportate come pregiudizievoli da parte appellante atterrebbero:
a) alla assegnazione di mansioni dequalificanti;
b) alla assegnazione in locali a bassa temperatura;
c) alla mancanza di gratificazioni professionali;
d) al fatto di essere stato allontanato dalla stanza nella quale si concludevano i contratti, nonostante egli facesse parte della commissioni di gara.
Inoltre, dalla documentazione acquisita, anche a voler prescindere dalla assenza di specifiche considerazioni sul punto dell’interessato, non risulta assolutamente alcun elemento soggettivo del dedotto illecito dell’Amministrazione, ovvero del prospettato disegno persecutorio.
Anzi, neppure sono precisati o indicati comportamenti o atti che avrebbero il carattere lesivo, lamentato nell’atto d’appello, né sono stati forniti elementi sufficienti in base ai quali si sarebbe potuto valutare se fosse il caso di disporre incombenti istruttori.
La condotta di mobbing del datore di lavoro, ravvisabile in ipotesi di comportamenti materiali o provvedimentali contraddistinti da finalità di persecuzione e di discriminazione, indipendentemente dalla violazione di specifici obblighi contrattuali, deve essere quanto meno esposta nei suoi elementi essenziali dal lavoratore, che non può limitarsi in sede giurisdizionale a dolersi genericamente di essere vittima di un illecito.
L’interessato deve quanto meno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale il giudice amministrativo, anche con i suoi poteri ufficiosi, possa verificare se siano stati commessi illeciti nei suoi confronti.
In relazione alle condotte di per sè qualificabili come mobbing, questo Consiglio ha evidenziato che la ricorrenza di una condotta mobbizzante va esclusa quante volte la valutazione complessiva dell’insieme delle circostanze addotte e accertate nella loro materialità, pur se idonea a palesare singulatim elementi e episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.
[a cura della Dott.ssa Marta Dolfi]

Autore
Data
venerdì 30 aprile 2010
 
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