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Indici della Rassegna

Titolo
LE SOCIETA’ SEMPLICI NON POSSONO OTTENERE L’ATTESTATO DI PARTECIPAZIONE ALLE GARE INDETTE DA PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
Argomento
Appalti
Abstract
Riferimenti Giurisprudenziali: - Consiglio di Stato, Sez. Vi Sentenza 8 giugno 2010 n. 3638.
Testo
Già la Corte di Giustizia con la sentenza 23 dicembre 2009, C-305/08 si era espressa per la legittimità della prtecipazionbe alle gare pubbliche di operatori anche non economici, attesa l’ampia apertura alla concorrenza nella misura più estesa possibile, non soltanto con riguardo all’interesse comunitario alla libera circolazione dei prodotti e dei servizi, bensì anche nell’interesse stesso dell’amministrazione aggiudicatrice che potrà disporre di un’ampia scelta circa l’offerta più vantaggiosa e più rispondente ai bisogni della collettività pubblica interessata.
L’art. 34, deld.lgs. n. 163/2006, però, consente la partecipazione alle gare di appalto alle sole società commerciali, con esclusione esplicita delle società semplici. Il disposto sembrerebbe porsi in contrasto con le direttive comunitarie in materia che contengono una nozione ampia di operatore economico e che vietano agli Stati membri di esigere una particolare forma giuridica dell’operatore economico per la partecipazione alle gare di appalto.
Ma l’assunto non è ammissibile e la questione è da porsi e da analizzarsi sotto altro profilo, ponendo a base la normativa civilistica italiana che esclude per le società semplici la capacità di essere imprenditore e di svolgere attività commerciale ai sensi dell’art. 2195 c.c..
Né la Corte ha mai ritenuto di dover vietare agli Stati membri di poter subordinare l’esercizio di determinate attività degli operatori economici al rilascio di autorizzazioni o limitare a talune categorie di operatori la fornitura di particolari prestazioni, avendo accettato che l’attività debba essere compatibile con i fini istituzionali e statutari dello stato membro.
Secondo l’ordinamento italiano l’attività commerciale è riservato alle società commerciali, con esclusione della società semplice (art. 2249 c.c.), impedendosi a queste ultime di poter essere autorizzate a svolgere attività commerciale e ad offrire lavori, beni, servizi.
Secondo il Supremo Consesso detto sistema “appare ragionevole e non discriminatorio in quanto si giustifica per il peculiare regime della responsabilità della società semplice verso i terzi, rispetto al regime della responsabilità delle altre società, ben più garantista per i terzi”.
Nel ns ordinamento, infatti, non è prescritto che la società semplice debba possedere un patrimonio o un capitale minimo, con conseguente responsabilità patrimoniale diretta dei soci che hanno agito in nome e per conto della società, ovvero con i beni di quest’ultima che possono essere di alcuna garanzia.
Se ne deve dedurre che la normativa nazionale che limita ad alcuni soggetti la partecipazione alle gare di appalti pubblici, non contrasta con il diritto comunitario che, pur affermando il principio di libertà di forma del concorrente, tuttavia non impedisce di regolare la capacità giuridica dei soggetti diversi dalle persone fisiche vietando a determinate categorie di persone giuridiche di offrire lavori, beni o servizi sul mercato. La disposizione civilistica in analisi è coerente con l’art. 4, par. 1, direttiva 2004/18/CE che lascia agli Stati membri la possibilità di autorizzare o meno determinate categorie di soggetti a offrire prestazioni sul mercato e, in definitiva, di riconoscere o meno a determinati soggetti la relativa capacità giuridica.

[a cura dell’Avv. M. T. Stringola]
Autore
Data
martedì 15 giugno 2010
 
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