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Indici della Rassegna

Titolo
AMMISSIBILITÀ DELLA DOMANDA DI RISARCIMENTO DEI DANNI AVANZATA PER LA PRIMA VOLTA IN APPELLO E PRESUPPOSTO DELLA COLPA DELLA P.A.
Argomento
Enti locali
Testo
Riferimenti giurisprudenziali:
- CGA, Sez. Giurisdizionale, sent. 30 gennaio 2012 n. 84
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Riferimenti normativi:
? artt. 30, 59 e 104 c.p.a; artt. 103 e 113 Cost; art. 4, L. n. 2248/1865; art. 2043 c.c.;

Anche se l’art. 104 c.p.a. vieta la proposizione, per la prima volta in grado di appello, di domande nuove, nondimeno l’art. 30, comma 5, dello stesso codice reca un'implicita, ma chiara, eccezione a detta regola, dato che la disposizione legittima, per intuibili esigenze di concentrazione processuale, le parti interessate a esercitare l’azione risarcitoria anche "nel corso del giudizio". Ciò significa che la domanda risarcitoria può anche essere avanzata per la prima volta in secondo grado.
Va esclusa la responsabilità aquiliana di una P.A. (e quindi anche la possibilità giuridica di riconoscere un contrapposto diritto al risarcimento in forma specifica o per equivalente) la cui condotta abbia comportato la perdita definitiva di un bene-interesse avuto di mira da una delle parti in lite (nel caso di specie, l’aggiudicazione di una gara di appalto), ogniqualvolta l’Amministrazione stessa si sia esattamente conformata ad una pronuncia giurisdizionale di primo grado che abbia annullato un procedimento di gara, giudicato successivamente legittimo dal giudice di secondo grado. In questa evenienza, il pregiudizio subito dalla parte (che sia stata aggiudicataria in sede di gara, soccombente nel primo grado del giudizio e vittoriosa in appello) è da considerarsi la conseguenza di un danno lecito, giustificato dall’adempimento di un dovere; tale danno, prodottosi in ultima analisi per effetto di un esito difforme di un giudizio in primo e in secondo grado, è un costo che l’ordinamento accetta al fine di assicurare il pieno dispiegarsi del diritto alla difesa, anche sotto il profilo della prevalenza della giurisdizione sull'amministrazione. Ha ricordato al riguardo la sentenza in rassegna che il principio di carattere generale, sancito da vari formanti di rango sia costituzionale sia primario (tra gli altri, gli artt. 103 e 113 Cost., l’art. 4, secondo comma, della L. n. 2248/1865, allegato E, l’art. 59 c.p.a.), è che l’Amministrazione deve sempre e immediatamente adeguarsi alle pronunce giurisdizionali, ivi incluse quelle cautelari.
Al cospetto di un comando giurisdizionale l’amministrazione non può dunque astenersi dall’adempiere all’obbligo di conformazione su di essa gravante.
Siffatta condotta doverosa può, in concreto, cagionare un pregiudizio (come accaduto nel caso di specie), ma certamente quest’ultimo non è imputabile all’Amministrazione che abbia esattamente ottemperato all’ordine del giudice.
In sintesi, può affermarsi che al ricorrere della situazione sopra descritta l’esatta ottemperanza dell’Amministrazione è scriminata dalla causa di giustificazione dell’adempimento del dovere e, dunque, il danno eventualmente prodottosi in capo alla parte interessata non è "ingiusto" a mente dell'art. 2043 c.c. perché prodotto da una condotta lecita e "giustificata", ossia imposta dall’ordinamento del quale occorre presumere la coerenza precettiva (che verrebbe meno qualora si ritenesse antigiuridica l’osservanza di un dictum giurisdizionale).
In astratto potrebbe anche affermarsi che il danno subito dalla parte vittoriosa in secondo grado è stato cagionato dal giudice e, segnatamente, dal giudice di primo grado, alla cui paternità va ricondotta la pronuncia riformata in via definitiva in appello.
Sennonché, secondo quanto si legge nella motivazione della sentenza in rassegna, tale danno non è risarcibile (sebbene in parte riparabile) perché prodottosi lecitamente e, come tale, "accettato" dal sistema giuridico.
[dott. Andrea Perugi]

Autore
Data
mercoledì 15 febbraio 2012
 
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