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Indici della Rassegna

Titolo
RICONOSCIMENTO DEL DANNO DA DEQUALIFICAZIONE E DA “MOBBING”
Argomento
Lavoro
Testo
Riferimenti Giurisprudenziali:
- Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza 10 gennaio 2012 n. 14.

Riferimenti Normativi:
- Artt. 2697, 2087 e 2043 Codice Civile.

Nell’ambito del pubblico impiego è pacificamente applicabile il principio secondo cui il prestatore di lavoro, che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno (anche nelle forme di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, deve fornire la prova dell’esistenza di tale danno e del nesso di causalità con l’inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa. Tale danno non si pone, infatti, quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo al lavoratore che denunzi il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c.
Per ciò che riguarda il danno da emarginazione lavorativa o “mobbing”, ai fini della sua configurabilità occorre, innanzitutto, la strategia unitaria persecutoria, la quale non si sostanzia in singoli atti da ricondurre nell’ordinaria dinamica del rapporto di lavoro (es. i normali conflitti interpersonali nell’ambiente lavorativo), ma deve avere la finalità di emarginare il dipendente o di porlo in una situazione di debolezza. Di conseguenza, la ricorrenza di un’ipotesi di condotta mobizzante deve essere esclusa allorquando la valutazione complessiva dell’insieme di circostanze addotte ed accertate nella loro materialità non consenta di individuare il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro. Risulta evidente, pertanto, che la fattispecie cos’ descritta postula il riscontro di un elemento psicologico della condotta non semplicemente colposo, ma doloso, sia pur nella forma del dolo generico.
Nel caso in cui sia stato denunziato un “mobbing”, si può ritenere sussistente l’illecito solo se si accerti che l’unica ragione della condotta è consistita nel procurare un danno al lavoratore, mentre bisogna escluderlo in caso contrario, indipendentemente dall’eventuale prevedibilità in concreto di simili effetti.
Occorre altresì aggiungere che,in base alla sentenza in rassegna,del “mobbing” risponde comunque contrattualmente il datore di lavoro ex. art. 2087 c.c., per violazione del dovere di tutelare la personalità morale del prestatore di lavoro, anche laddove la condotte lesive siano state poste in essere da colleghi di lavoro tramite in c.d. “mobbing orizzontale”, in quanto quel che rileva unicamente è che il datore sapesse o potesse sapere quanto accadeva. La responsabilità datoriale, tuttavia, non esclude quella dell’autore materiale del fatto, ma si aggiunge alla stessa, atteso che l’autore materiale, se diverso dal datore, in base ai principi generali risponde comunque extracontrattualmente ex. art. 2043 c.c. del danno ingiusto causato con dolo o colpa.

a cura del dott. Andrea Perugi

Autore
Data
mercoledì 30 maggio 2012
 
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