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Indici della Rassegna

Titolo
Dalla condanna penale del pubblico dipendente deriva il licenziamento
Argomento
Enti locali
Abstract
(Consiglio di Stato, sez. V, sent. 23 gennaio 2004, n. 187)
Testo
? Il Fatto
Un dipendente di un comune campano – a seguito di patteggiamento – veniva condannato dal tribunale penale ad anni due di reclusione, con il beneficio della sospensione e non menzione della pena, per aver commesso, tra gli altri, il reato di cui all’art. 318 del codice penale, ovvero, “corruzione in atto d’ufficio “.
A seguito dell’intervenuta condanna, l’Amministrazione iniziava nei suoi confronti un procedimento disciplinare, dal quale scaturiva un provvedimento di licenziamento senza preavviso, adottato dal segretario generale del comune.
Contro tale atto e gli atti presupposti, veniva proposto, dal dipendente pubblico, ricorso avanti al TAR Campania, che, però, respingeva l’istanza condannando il soccombente alla rifusione delle spese di giudizio.

Il sanzionato ha proposto appello prospettando:
a) l’inosservanza del termine di 20 giorni, di cui all’art. 24 del contratto collettivo nazionale del lavoro 94/97, dalla conoscenza della sentenza penale di condanna per l’avvio del procedimento disciplinare e comunque l’inapplicabilità delle norme di cui al d.P.R. n. 3/1957 e legge n. 19/1990 a favore di quelle del C.C.N.L.;
b) l’incompetenza dell’organo emanante l’atto e l’assenza di un autonoma attività istruttoria.


? Il Principi
Il Consiglio di Stato, chiamato a decidere quale giudice d’appello sull’impugnazione proposta, respinge l’istanza presentata ritenendola infondata.
Sul primo punto, rileva il Collegio, non è condivisibile l’assunto di controparte, in quanto non considera le disposizioni di cui all’art. 9 comma 1° e 2°, legge n. 19/1990, in base alle quali, a seguito di condanna penale, la destituzione del pubblico dipendente può essere sempre inflitta all’esito del procedimento disciplinare proseguito o promosso entro centocinquanta giorni dalla avvenuta conoscenza della notizia della sentenza irrevocabile di condanna, e comunque concluso nei successivi novanta giorni.


Trattasi, questa, di norma speciale che, per esigenze di unitarietà della disciplina, si sovrappone e si sostituisce al potere regolamentare delle singole amministrazioni e delle parti.

Anche la seconda eccezione non ha pregio, in quanto l’art. 59 D.Lgs. n. 29/1993 afferma che, ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari.
Pertanto, nessuna contrarietà alla legge presenta lo statuto del comune impugnato laddove affida tale compito al Segretario Generale.

Altresì, ribadisce il Supremo Consesso, è legittimo – in quanto aderente al costante orientamento dei giudici amministrativi - il contegno della P.A. che per la parte istruttoria del procedimento ha fatto ampio riferimento agli esaustivi atti del processo penale.

Sarà onere del dipendente - inquisito indicare gli elementi a suo discarico su cui l’amministrazione deve compiere nuovi accertamenti.
Nel caso di specie nessun fatto od elemento nuovo è stato introdotto nel procedimento disciplinare, sì da far venir meno l’esigenza di una nuova ed ulteriore istruttoria.
Pertanto, come detto, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello confermando il provvedimento di licenziamento impugnato.

Autore
Dott. F.A. Corrias
Data
mercoledì 28 gennaio 2004
 
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