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Indici della Rassegna

Titolo
Silenzio amministrativo - silenzio significativo - silenziom inadempimento: conseguenze risarcitorie
Argomento
Diritto amministrativo
Abstract
(TAR Lazio, sentenza settembre 2005)
Testo
Prendendo spunto dalla recentissima sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio si intende tracciare un sintetico quadro sulla disciplina del silenzio amministrativo.
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L’art. 2 della legge 241 del 1990 impone alla Pubblica Amministrazione di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso.
Diversamente nell’ipotesi in cui la legge attribuisca al silenzio un valore giuridico - cosiddetto silenzio significativo - il mancato pronuciamento dell’Ente preposto nel temine fissato determina la “consumazione del potere di provvedere” in quanto all’inerzia della P.A. è attribuito valore di assenso o di diniego circa l’istanza presentata.
E’ questa la fattispecie disciplinata dalla disposizione di cui all’art. 20 della legge 241 del 1990, espressamente rubricata “silenzio assenso”, secondo cui “nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione” non si pronuncia nei termini.

Una volta maturate le condizioni per il concretizzarsi del silenzio assenso la P.A. potrà intervenire soltanto con provvedimenti di secondo grado, ovvero in via di autotuela tramite annullamento o revoca.
Le rappresentate ipotesi trovano oggi espressa disciplina nella novellata legge sul procedimento.
Riguardo alla prima, ex art. 21-nonies legge 241/90, è disposta l’annullabilità d’ufficio del “provvedimento amministrativo illegittimo ... sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”.

L’altra fattispecie, disciplinata dall’art. 21 quinques, consente per “sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, la revoca - da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge - del provvedimento amministrativo ad efficacia durevole.
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Diversamente la tipologia di silenzio identificata come “inadempimento” o “rifiuto”, si concretizza quando la PA non emana il provvedimento nel termine fissato dalle specifiche disposizioni normative od in difetto entro 90 giorni (che sostituiscono così i precedenti 30 giorni previsti).
In ipotesi il privato, decorsi i termini sopra indicati, può proporre ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione, ai sensi dell'articolo 21-bis della legge TAR anche senza aver preventivamente diffidato l'amministrazione inadempiente.

Attenzione particolare merita poi l’innovato contenuto del quinto comma dell’art. 2 legge 241/90, che consente – diversamente da quanto sostenuto in precedenza dalla giurisprudenza amministrativa – al giudice, investito della questione relativa al silenzio, di conoscere anche della fondatezza dell'istanza, moltiplicando così l’incisività dell’intervento giudiziale.
La pretesa del privato all’emanazione di un atto provvedimentale è qualificata comunemente come interesse legittimo, l’illegittima inerzia della P.A. ne concretizza una lesione della sfera giuridica.

Sul punto il TAR Lazio – Roma, sez. II bis – sentenza 9 settembre 2005, n. 6786 ha sottolineato come da tale persistente inerzia potrebbe conseguentemente concretizzarsi un fatto lesivo violativo degli obblighi di correttezza e buona fede, il cui rispetto è ormai divenuto principio cardine nei rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione, con conseguente obbligo al risarcimento del danni subiti.

Autore
Dott. F.A. Corrias
Data
venerdì 16 settembre 2005
 
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