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Indici della Rassegna

Titolo
NON SEMPRE È RICONOSCIBILE IN CAPO AL DIPENDENTE IL DIRITTO AL RIMBORSO DELLE SPESE LEGALI
Argomento
Enti locali
Abstract
(Corte di Cassazione, sent. gennaio 2007; Consiglio di Stato, sent. ottobre 2006; Consiglio di Stato, sent. 12 febbraio 2007)
Testo
Riferimenti Giurisprudenziali:
- Corte di Cassazione, sez. lavoro, sent. 23 gennaio 2007 n. 1418
- Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 9 ottobre 2006, n. 5986
- Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 12 febbraio 2007, n. 552

Riferimenti Normativi:
- Art. 18 DL 67/1997 (convertito in L. 135/1997)


Il Fatto
Un dirigente dell’Uffico prov.le del Tesoro, assolto con formula piena dal reato di abuso d’ufficio, ha richiesto all’amministrazione di appartenenza il rimborso delle spese legali sostenute per la sua difesa ed in sede penale ed in sede disciplinare.
Avverso il rifiuto ha instaurato giudizio che si è protratto anche in sede di legittimità, all’esito del quale si è visto respingere integralmente la domanda di ristoro.

Il Principio
La norma di legge statuisce che “Nei giudizi intrapresi nei confronti dei dipendenti delle Amministrazioni statali per responsabilità civili, penali ed amministrative, in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza che escluda la loro responsabilità, è previsto il rimborso da parte della Amministrazione di appartenenza delle spese legali” .
Nel pubblico impiego statale è previsto che sia demandata all’Avvocatura dello Stato la valutazione dei limiti di congruità della detta rifusione, riconoscendo ampia discrezionalità tecnica nella valutazione dell’intervento restitutorio. La spesa non può quindi essere necessitatamente integralmente coperta tenuto conto che la refusione deve attenere alla natura e complessità della causa oltre che alla durata del processo ed alla qualità dell’opera professionale.
La disposizione normativa che regola il detto rimborso va letta in combinato con la ratio legis che è anche finalizzata al contenimento della spesa pubblica .
Nessun dubbio che il dipendente infondatamente accusato di reato abbia diritto alla reintegrazione patrimoniale, ma l’intervento pubblico deve essere limitato allo stretto necessario la cui determinazione è verificata e statuita da soggetto tecnico. Non si esclude la garanzia, comunque, della tutela del diritto soggettivo vantato dal dipendente.
Ne consegue che il parere dell’Avvocatura dello Stato (parere che si distingue nettamente dal visto di congruità del Consiglio dell’Ordine) è soggetto all’analisi del giudice ordinario cui è demandato il vaglio dell’osservanza dei principi costituzionalmente garantiti dell’affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva al fine di assicurare che la discrezionalità dell’Avvocatura sia immune da motivi di censura.
La sopra segnalata sentenza ci induce a evidenziare che la parcella vistata dal competente Ordine professionale, pur costituendo titolo idoneo per l’emissione del decreto ingiuntivo a carico del cliente, non ha valore probatorio né ha soprattutto valore vincolante per la parte privata in ordine alla liquidazione degli onorari, costituendo una semplice dichiarazione unilaterale del professionista (cfr. Cass., sez. II, 29.1.1999 n. 807).
Ciò chiarito ed in disparte, è d’obbligo chiarire che il potere valutativo demandato dalla norma all’Avvocatura “comporta un necessario bilanciamento tra l’interesse del dipendente ad essere tenuto indenne dalle spese legali sostenute e l’interesse pubblico ad evitare erogazioni non appropriate, cioè non causalmente congrue in relazione al rilievo ed importanza dell’attività difensiva necessaria”.
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Corre con l’occasione, e tra parentesi, dare notizia - pur non condividendo il principio – che secondo ultimi arresti del Supremo Consesso, (C. Stato sez. VI, sent. 16.01.2006, n. 72, e Consiglio di Stato sez. V, sent. 09.10.2006, n. 5986) non sono ammissibili a rimborso gli oneri di difesa laddove l’ente sia stato parte nel processo penale (costituzione di parte civile).
Infatti, si sostiene che “poiché le pretese fatte valere dal Comune nel procedimento penale e nel giudizio contabile, postulano oggettivamente l’esistenza di un conflitto di interessi tra le parti”, si deve escludere che la difesa del dipendente possa essere in qualche modo riferita alla tutela di diritti ed interessi dell’Amministrazione.
Il rilievo è decisivo e di per sé sufficiente, indipendentemente da ogni valutazione attinente all’esito del procedimento penale ed all’accertamento della responsabilità contabile del dipendente, per rigettare l’eventuale domanda anche giudiziale, promossa a tal fine.
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Per gli enti locali il disposto della norma dell’art. 67 del D.P.R. 268/1987 - disposizione oggi trasfusa nei contratti collettivi nazionali di categoria (sia per i dirigenti che per gli altri dipendenti) – consente all’ente di assumere a proprio carico ogni onere per la difesa del dipendente sin dall’apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente stesso da un legale di comune gradimento a condizione che non sussista conflitto di interessi.
Detta valutazione deve essere fatta ex ante dall’ente con esplicito riferimento all’inesistenza di ipotesi di posizioni inconciliabili e la difesa deve essere affidata a professionista di comune gradimento di talchè non appare accoglibile la pretesa di rimborso di spese legali per il patrocinio a seguito di scelte autonome e personali nella nomina del proprio difensore.
L’onere della tenuta indenne sta a identificare unicità di intenti e tutela di identicità di interessi e non di esclusivo vantaggio del funzionario. La p.a. deve essere partecipe sin dall’inizio della decisione del patrocinio per la comunanza di posizioni. Il mancato coinvolgimento iniziale dell’ente nella scelta del difensore è giusto motivo per escludere l’applicazione dell’istituto.
Autore
Avv. Maria Teresa Stringola
Data
mercoledì 28 febbraio 2007
 
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