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Titolo
SE IL COMUNE NON HA UN CANILE I CANI RANDAGI VANNO MANTENUTI IN UN CENTRO CINOFILO: il Sindaco deve deliberare lâimpegno di spesa e stipulare un contratto con il canile
Abstract
(Corte di Cassazione, sent. ottobre 2007)
Testo
Riferimenti Giurisprudenziali:
- Corte di Cassazione, sez. I, sent. 26 ottobre 2007, n. 22537
Un Comune proponeva opposizione al decreto del Giudice di Pace con cui gli era stato ingiunto di pagare alla titolare di un centro cinofilo il corrispettivo per la custodia ed il mantenimento di un cane randagio, disposti con ordinanza del proprio sindaco.
Il Comune eccepì lâinesistenza di un rapporto contrattuale tra esso Comune ed il Centro Cinofiloe la eccessiva onerosità della somma rispetto alle prestazioni rese.
Il Giudice di Pace riteneva che lâordinanza con la quale il sindaco aveva disposto il ricovero del cane randagio presso il centro cinofilo era stato legittimamente emesso in materia di igiene e sanità pubblica e di poizia veterinaria, ed era da solo sufficiente a far sorgere obblighi in capo allâamministrazione comunale. Riteneva il giudice, inoltre, che non vi fosse alcun dubbio sul quantum, provato dalle fatture prodotte in giudizio.
Con la sentenza in epigrafe la Suprema Corte ha censurato il giudice di prime cure per non aver tenuto conto che tutti i contratti stipulati con le pubbliche amministrazioni richiedono la forma scritta ad substantiam non rilevando a tal fine lâatto deliberativo con cui lâorgano competente autorizza la conclusione del negozio.
La mancanza di un contratto scritto esclude un valido rapporto contrattuale vincolante per lâente locale.
Nella fattispecie lâordinanza sindacale impositiva dellâobbligo di esecuzione a carico del centro cinofilo altro non è che una comunicazione alla ASL nella quale si richiama la necessità di regolarizzare il rapporto attraverso la stipula di una convenzione scritta.
Nessun obbligo poteva sorgere a carico del centro cinofilo, non destinatario di alcuna ordinanza.
Costituisce principio generale fondamentale della materia delle obbligazioni, evincibile dal sistema normativo, che la pubblica amministrazione, non può assumenre impegni o concludere contratti se non nelle forme stabilite dalla legge e dai regolamenti (vale a dire nella forma scritta), il cui mancato rispetto produce la nullità assoluta dellâatto, rilevabile anche dâufficio.
La regola della forma scritta ad substantiam, infatti, strumento di garanzia del regolare svolgimento dellâattività amministrativa, sia nellâinteresse del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia nellâinteresse della stessa pubblica amministrazione, rispondendo allâesigenza di identificare con precisione lâobbligazione assunta e il contenuto negoziale dellâatto e, specularmente, di rendere possibile lâespletamento della indispensabile funzione funzione di controllo da parte dellâautorità tutoria.
In questo senso, il requisito in parola può considerarsi espressione dei principi di buon andamento ed imparzialità dellâamministrazione sanciti dalla carta costituzionela.
I contratto conclusi dallo Stato e dagli enti locali richiedono, in altre parole, la forma scritta ad substantiam con esclusione di qualsivoglia manifestazione di volontà implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi.
Alla luce delle premesse considerazioni la Suprema Corte ha ritenuto che il giudice di prime cure non si sia uniformato al suddetto principio, enucleabile da norme fondamentali, avendo erroneamente considerato sufficiente, per ritenere legittimamente obbligato il Comune al pagamento del corrispettivo, il provvedimento contingibile ed urgente emesso dal Sindaco.
Autore
Dott.ssa Marta Dolfi
Data
martedì 30 ottobre 2007
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