Testo
Nel caso in cui oggetto di espropriazione sia un fabbricato con latistante terreno, il manufatto costituisce un'entità economica il cui valore deve essere considerato in aggiunta al valore del suolo, effettuando la liquidazione corrispondente con riferimento al valore di mercato per l'edificio (comprensivo di area di sedime, che da esso non è scindibile né autonomamente apprezzabile), senza che rilevi il fatto che il fabbricato sia destinato dall'espropriante alla demolizione. Quanto invece al terreno pertinenziale, la liquidazione va effettuata con riferimento ai criteri di cui allâart. 5 bis della legge 8 agosto 1992, n. 359 o all'art. 16 l. 22 ottobre 1971 n. 865, a seconda se esso risulti edificabile o inedificabile.
Nel caso in cui oggetto di espropriazione sia un fabbricato con annesso terreno, l'immobile va valutato nella sua complessiva consistenza, per i volumi che esso esprime, fuori e sotto terra. In tale valutazione scompare l'area di sedime, che non ha autonoma utilizzabilità . A tale componente, che va assunta nel suo pieno valore di mercato (vedi anche l'art. 38 d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327), va aggiunto il valore delle pertinenze, di cui va preliminarmente qualificata la natura sotto il profilo urbanistico, se inserite in area destinata all'edificazione o riservate a verde privato (nel primo caso è da ritenere applicabile la formula di cui all'art. 5-bis, comma 1, d.l. 11 luglio 1992 n. 333, conv. in l. 8 agosto 1992 n. 359; nel secondo caso, va fatto riferimento al valore agricolo, rinviando l'art. 5-bis, comma 4, all'art. 16 l. 22 ottobre 1971 ,n. 865), e, qualora edificabili, se esse conservino i requisiti di effettiva edificabilità , per non essere state assorbite le potenzialità edificatorie, nella costruzione dell'edificio limitrofo.
A seguito della sentenza della Corte cost. 24 ottobre 2007, n. 348, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 5-bis, ai commi 1 e 2, della legge 8 agosto 1992, n. 359, va applicato per le aree edificabili il criterio del valore venale, non potendo che riemergere il vecchio art. 39 l. 25 giugno 1865 n. 2359, la cui abrogazione, per l'art. 58 n. 1, come quella del 5-bis, per il n. 133 dello stesso, fa comunque salvo quanto previsto dal comma 1 dell'art. 57.
A seguito della sentenza della Corte cost. 24 ottobre 2007, n. 348, fino a quando il legislatore non riterrà di riformulare altri criteri indennitari, sulla base delle indicazioni contenute nella sentenza stessa, non vi è la necessità da parte del giudice di distinguere, così come la Corte costituzionale ha suggerito all'iniziativa legislativa, tra "espropri singoli" e "piani di esproprio volti a rendere possibile interventi programmati di riforma economica o migliori condizioni di giustizia sociale".
Il problema del regime transitorio che si pone dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 5-bis d.l. 17 luglio 1992 n. 333, conv. in l. 8 agosto 1992 n. 359, va risolto nel senso che, riguardo a giudizi di determinazione dell'indennità di espropriazione, pendenti in Cassazione alla data di pubblicazione della sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale, non è ammissibile riferirsi al criterio da quella norma previsto ma, nell'attesa di un'eventuale iniziativa legislativa, dovrà richiamarsi il criterio del valore venale, non potendo comunque la misura dell'indennità in tal modo determinabile, superare quella effettuata dal giudice di merito con la sentenza che sia stata impugnata dalla sola amministrazione espropriante.
Nel caso in cui, nel corso di un giudizio di opposizione alla stima, sia stata consegnata ai proprietari la somma depositata presso la Cassa depositi e prestiti, gli interessi legali, di natura compensativa, dovuti dalla P.A. spettano solo sull'eventuale differenza tra i dovuto ed il depositato, mentre su quest'ultimo maturano gli interessi previsti dall'ordinamento della Cassa depositi e prestiti.