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Indici della Rassegna

Titolo
IL TERMINE DI DANNO CAGIONATO DALLA P.A.: PRESCRIZIONE DECORRE DALLA DATA DELL’ILLECITO
Argomento
Enti locali
Abstract
Riferimenti Giurisprudenziali: - Corte di Cassazione, Sez. Un., sent. 8 aprile 2008, n. 9040
Testo
Un Comune aveva proposto appello avverso la sentenza del Tribunale con cui era stato condannato al risarcimento per l'illegittima occupazione di alcuni fondi ricompresi nel piano per gli insediamenti produttivi (pip). Il risarcimento del danno si configurava per l'illegittimità dell'occupazione, a seguito annullamento degli atti della procedura espropriativa con sentenza.
Il Comune, proponeva appello denunciando, tra le altre, violazione e falsa applicazione delle norme in tema di decorrenza del termine di prescrizione e degli effetti interruttivo-sospensivi della domanda di opposizione all'indennità di espropriazione sul termine di prescrizione dell'alternativo e diverso diritto al risarcimento del danno.
Il ricorrente parte dall'esatto presupposto della possibilità di adire il giudice ordinario per il risarcimento del danno ingiusto, senza la necessaria pregiudiziale impugnazione dell'atto lesivo: non si porrebbe un problema di pregiudizialità, come si riteneva prima della sentenza n. 500 del 1999, nel senso che era necessario attendere l'annullamento per poter risarcire il danno arrecato dal sacrificio di situazioni di diritto degradato ad interesse. Una volta riconosciuto che la lesione dell'interesse protetto obbliga l'amministrazione al risarcimento del danno quale che sia la natura dell'interesse protetto, è venuto meno il nesso di dipendenza della risarcibilità dal previo annullamento dell'atto.
Va chiarito come la svolta giurisprudenziale che ha reso possibile la riparazione del danno da attività provvedimentale illegittima, senza la preventiva impugnazione dell'atto amministrativo, non può, paradossalmente, aver pregiudicato nella sostanza, anziché migliorarla, la posizione del privato che lamenta un danno quale conseguenza di quell'atto.
La coerenza interna del sistema consente di superare l’impasse, nel senso che la conservazione degli effetti sostanziali della domanda proposta avanti ad una giurisdizione, che si rende possibile a seguito della riassunzione dinanzi ad altra giurisdizione (translatio iudicii), va ad incidere sull'applicazione della disciplina della prescrizione, e alla domanda giudiziale si ricollega l'effetto interruttivo anche ove sia stato erroneamente adito giudice privo di giurisdizione.
La sentenza n. 77 del 2007 della Corte costituzionale, nel dichiarare l'illegittimità dell'art. 30 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, se da un lato preconizza l'intervento del legislatore al fine di dare attuazione al principio della conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione nel giudizio ritualmente riattivato davanti al giudice che ne è munito, non esclude che del principio, dalla stessa introdotto con la sentenza d'incostituzionalità, i giudici possano fare applicazione utilizzando gli strumenti ermeneutici.
Il principio della translatio non può che essere applicabile in relazione alla domanda di risarcimento del danno determinato dall'attività provvedimentale illegittima della pubblica amministrazione, prima che la legge ne attribuisse la giurisdizione al giudice amministrativo, quale strumento di tutela ulteriore dell'azione demolitoria, a quest'ultimo attribuita.
Venuta meno, con la svolta giurisprudenziale cui si è accennato, la pregiudiziale amministrativa, quale necessità di annullamento dell'atto restrittivo della sfera giuridica ai fini della proponibilità dell'azione risarcitoria per il riespandersi del diritto soggettivo, e costruito il risarcimento come diritto primario e autonomo (non meramente sanzionatorio), per il solo fatto della presenza di un illecito - di cui il provvedimento illegittimo è solo una componente -, viene indubbiamente meno quell'ostacolo all'esercizio dell'azione, che configurava un impedimento al decorso della prescrizione (art. 2935 c.c.).
La tesi espressa dalle Sezioni Unite (con la sentenza n. 483 del 1999), non è più sostenibile alla luce della sent. n. 500/99, in quanto fondata sul postulato della preventiva impugnazione dell'atto illegittimo, ai fini della riespansione del diritto soggettivo.
La falsa convinzione della pregiudizialità di annullamento, non impedisce di ritenere che ove sia stata proposta domanda di annullamento dell'atto amministrativo, quale prodromo alla condanna al risarcimento per la lesione del diritto di proprietà, essa sia stata comunque idonea a interrompere la prescrizione dell'azione di risarcimento, e che il decorso sia rimasto sospeso per tutta la durata di quel giudizio.

La questione è ora semplificata per la concentrazione davanti ad un unico giudice, quello amministrativo, della cognizione sull'annullamento dell'atto e sul risarcimento del danno (art. 35 l. n. 205 del 2000). Il giudice amministrativo non può rifiutarsi di esercitare la propria giurisdizione sulla seconda domanda, a motivo della mancata preventiva impugnazione dell'atto tacciato di illegittimità.
Allo stesso modo deve argomentarsi ove sia stata proposta domanda per l'annullamento dell'atto, in epoca anteriore alla concentrazione davanti al giudice amministrativo anche della tutela risarcitoria. Il principio della incomunicabilità dei giudici appartenenti ad ordini diversi, se comprensibile in altri momenti storici, è certamente incompatibile, oggi, con fondamentali valori costituzionali: la pluralità di giudici ha la funzione di assicurare, sulla base di distinte competenze, una più adeguata risposta alla domanda di giustizia, e non può risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione, della tutela giurisdizionale (Corte cost. n. 77 del 2007). Quella domanda, pur non costituendo (oggi) il prodromo necessario per conseguire il risarcimento dei danni conseguenti all'illegittimo affievolimento del diritto di proprietà, dimostra la volontà (di allora) della parte, di reagire all'azione amministrativa, reputata illegittima: optando per una soddisfazione per equivalente (anziché per la restituzione), il ricorrente rivela a posteriori di rimanere indifferente al consolidarsi della situazione sostanziale (l'occupazione appropriativa) determinatasi in attuazione del provvedimento illegittimo. La propria pretesa risarcitoria, dunque, è da ritenere azionata fin dal momento in cui egli ritenne di adire il giudice amministrativo per la rimozione dell'atto, del quale l'annullamento, in definitiva, si rivela oggi rimedio superfluo sotto il profilo sostanziale, ma (all'epoca) necessario sotto il profilo processuale.
Sicché, se anche oggi non può più parlarsi di pregiudiziale di annullamento, potendo il soggetto privato agire anche solo per conseguire il risarcimento del danno, e dunque non presentandosi più, data l'esistenza dell'atto, un ostacolo al conseguimento di una tutela risarcitoria essendo sufficiente che si profili l'ingiustizia del danno, l'azione promossa davanti al giudice amministrativo per la demolizione dell'atto è valsa ad interrompere la prescrizione dell'azione risarcitoria, perché si conservano gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta davanti a quel giudice.
Il principio è da ritenere applicabile in ogni ipotesi in cui, anteriormente alla creazione di una giurisdizione "piena" del giudice amministrativo, si sia agito davanti a questo ottenendo l'annullamento dell'atto, ed in seguito si sia adito il giudice ordinario per la soddisfazione dei diritti patrimoniali consequenziali.
Autore
Dott.ssa Marta Dolfi
Data
mercoledì 30 aprile 2008
 
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